Alle 9,15 del 9 agosto 1918 sul cielo di Vienna apparvero 7 curiosi aeroplani: erano decollati poche ore prima, alle 5,15, dal piccolo aeroporto di San Pelagio, in prossimità di Padova. Erano partiti in 11, ma solo 7, dopo un viaggio difficile e pericoloso, e dopo aver passato indenni il temporale con le nuvole, i turbini, i risucchi che li avevano quasi bloccati sulle Alpi, all’altezza del Monte Tefelstein, in Stiria, avrebbero raggiunto l’obiettivo. Si trattava della Squadriglia “Serenissima”, costituita dopo la rotta di Caporetto: era composta da piloti veneti decisi a difendere le loro città: iterum rudit leo, era il suo motto. Al comando dell’impresa il maggiore D’Annunzio: il Vate-Guerriero, della propaganda di guerra. Lo aveva promesso, sin dall’ottobre del 1915, dopo un volo su Trento: Donec ad metam, Vienna.
Quella mattina la capitale dell’Impero si era svegliata coperta da una fitta nebbiolina, che aveva iniziato a diradarsi con il sole estivo: dall’alto i piloti italiani cominciarono a distinguere il traffico sulla Mariahilferstrasse, i binari della Westbannhof. Iniziarono il sorvolo sulla “innere Stadt”, il centro cittadino. Percepivano con nettezza le guglie gotiche della Chiesa di Votivkirche, l’Hofburg, il Museo delle Scienza, il Parlamento. Scesi a 800 metri di altezza iniziarono a lanciare sulla Città migliaia e migliaia di volantini: le “ammonizioni”, come le chiamava D’Annunzio, che planarono tra Santo Stefano e il Graben. In basso, si vedevano i viennesi, indaffarati nelle loro occupazioni quotidiane, persino in coda.


Fu un’azione decisamente “epica”. Nei giorni successivi avrebbe occupato le prime pagine di molti giornali europei. Lo stesso Arbeiter Zeitung austriaco riconobbe che D’Annunzio aveva saputo con grande coraggio coniugare “le belle poesia con l’azione”.
Non vennero lanciate bombe sulla Città, ma solo dei volantini che inneggiavano alla pace. Non era così nelle intenzioni originarie di D’Annunzio; dopo che gli austriaci avevano bombardato con insistenza città come Padova, Venezia, Treviso, Vicenza, causando ingenti danni e numerosi morti, teorizzava di gettare “su Shoenbrunn diecimila chilogrammi di tritolo”. La guerra, però, volgeva al termine e sia il Vaticano, sia l’Alto comando italiano sollecitarono un’azione non cruenta. Il giorno dopo un piccolo Foker sorvolò il cielo di San Pelagio. Il pilota austriaco, a rischio della vita, lasciò cadere un paracadute sul campo di Volo: conteneva una lettera del tenente Sarti. Un pilota della Squadriglia il cui aereo era caduto in avaria nei pressi di Vienna. Scriveva alla famiglia e ai superiori per dire che stava bene. Piccoli gesti che rinverdivano codici di guerra cavallereschi e che preludevano alla fine di un conflitto che aveva devastato generazioni di ragazzi europei.
Il Volo sarebbe passato dalla cronaca alla leggenda: un episodio tra i più emblematici della Grande Guerra. Nel bel Museo del Castello di San Pelagio – il nido delle Aquile – una sezione è interamente dedicata a questa avventura: qui entrerete nella stanza dove dormiva D’Annunzio, vedrete la sua tenuta di volo, gli originali dei volantini lanciati su Vienna e potrete immergervi in un percorso che vi accompagnerà sulla strada della grande epopea del Volo, da Leonardo alle missioni spaziali.