Erano passate solo poche settimane da Vittorio Veneto quando, il 5 novembre 1918, la giunta cittadina deliberò di consacrare il progetto edilizio di un nuovo palazzo municipale a monumento ai caduti, un omaggio ai morti e un segno per tutti i cittadini. La nuova sede civica avrebbe dovuto «ricordare alle generazioni future i martiri, i sacrifici, gli eroismi che hanno assicurati all’Italia i suoi confini naturali» e «indicare alle generazioni […] quale sia il compito che ad esse spetta assolvere per non rendersi indegne del sangue così generosamente versato». Padova aveva vissuto la guerra come un doppio sacrificio. Da un lato, i suoi 1400 cittadini morti (tra cui non pochi civili), su una popolazione di meno di 100mila anime. Dall’altro i 200 studenti universitari caduti (il 10% dell’intera popolazione  studentesca dell’ateneo), in larga parte morti vestendo la divisa da ufficiale e conducendo all’assalto le proprie truppe. Intrecciare in perpetuo la vita e la quotidianità della comunità cittadina al sangue e al sacrificio era un progetto ideologico e pedagogico ambizioso, e rivela molto su quale fosse il clima di euforia e di apoteosi patriottica che aveva portato con sé la Vittoria in quella che era da molti ancora considerata come la prova finale della nazione. Inizialmente, tutto parve andare per il meglio.

Ma non si sarebbe dimostrato così semplice. Nel 1921, dopo una gara molto combattuta, venne selezionato il progetto vincitore, firmato dell’architetto Romeo Moretti e dell’ingegnere Giambattista Scarpari. L’iniziativa ebbe un’eco notevole a livello nazionale (il progetto fu calorosamente elogiato da Marcello Piacentini) e gli inizi dei lavori furono incoraggianti (la prima pietra della nuova ala del municipio venne posta simbolicamente il 4 novembre 1922, alla presenza del generale Diaz, pochi giorni dopo l’insediamento del primo governo Mussolini e in un clima di apoteosi patriottica). Ma l’impresa si arenò ben presto per gelosie cittadine e rivalità accademiche.  Tra bandi, ricorsi, opposizioni, preoccupazioni della Soprintendenza e sospensione dei lavori, il palazzo non sarebbe stata ultimato se non nel 1932, con la realizzazione di un’imponente struttura trilaterale in pietra chiara, ornata dai simboli del trionfo nazionale: la Vittoria alata che ne sormonta la torre centrale, gli stemmi delle città irredente liberate e riconquistate alla madre patria, gli emblemi delle armi vittoriose della nuova Italia. Ma il baricentro dell’impianto visivo, il cuore della sua funzione memoriale, sono i nomi dei quasi 1400 padovani morti tra 1915 e 1918, incisi sulle due ali del palazzo a perenne ricordo di tutti i viventi. Solo pochi passi separano il municipio dal palazzo del Bo, dove i nomi degli studenti caduti sono celebrati sul portale di bronzo che dà accesso all’Atrio degli Eroi. A distanza di un secolo, a Padova il ricordo della guerra permea ancora la quotidianità.